Se l’economia scopre la condivisione
“L’uomo non inventa la propria energia vitale, né fabbrica a piacimento il bene o la verità. Solo nell’adesione (“il volgersi di tutta la persona all’energia di bene, cosmica e divina, che muove l’universo”), che secondo molte prospettive religiose e filosofiche è essenzialmente una conversione e una nuova nascita, scopre il fondamento, il senso e la verità del suo esistere, la vocazione alla quale rispondere.
La condivisione svolge e specifica la dinamica dell’adesione. Quest’ultima non si gioca in uno spazio del tutto privato, non isola il singolo dagli altri e dal mondo. al contrario è sì una dinamica intima e personale, ma nel contempo essa si dispiega attraverso la relazione con gli altri, con la natura e con la società. si tratta non di una qualsiasi relazione, ma di quella specifica forma di relazione che è fondata sul dono, sulla generosità, sullo spirito di gratuità, sull’attenzione per gli altri e per i loro bisogni. Imparare a ricevere e imparare a ricomunicare liberamente quanto si è ricevuto: ecco la via lungo la quale singoli e comunità sviluppano la capacità di aderire alla fonte di bene che fonda la vita di tutti. La condivisione è il dinamismo universale dell’esistenza umanizzata. L’egoismo, l’avidità, nonché il profitto e l’accumulazione ricercati per se stessi, sono antitetici alla nostra condizione vitale”.
Il paradigma delle relazioni di dono
Le relazioni di dono (…) sussistono da sempre nelle società umane e ancora nella stagione attuale di globalizzazione del capitalismo perdurano consentendo in molti casi alle persone di resistere all’impatto negativo dell’economia ufficiale. Per queste sue caratteristiche, si tratta dell’unico tra i modelli alternativi al capitalismo che non nasce come progetto teorico per cercare poi attuazione nell’esperienza. Al contrario, esso vive come pratica diffusa e come forma di organizzazione nella quale l’economia stessa è ben incorporata nell’alveo della società. Serge Latouche ha sottolineato giustamente che “non si tratta, propriamente, di un’economia benché altra, ma di un’altra società”.
Le pratiche e le istituzioni di questa vera e propria economia popolare riferibili alla logica del dono ricorrono, con forme molto differenziate, in una molteplicità così ampia di contesti geoculturali, soprattutto in Africa, in Asia e in America Latina, che risulta difficile fare dell’economia delle relazioni di dono un modello vero e proprio. Eppure rimane un tratto essenziale comune, consistente nel fatto che la vita sociale si struttura esercitando quella universale facoltà umana che è la facoltà di ricevere e di donare intessendo relazioni con spirito di gratuità. Nelle interazioni simboliche, familiari, comunitarie, economiche orientate da questo spirito, le persone s’incontrano attraverso la mediazione del dono in maniera che il valore riconosciuto non è l’oggetto dato o ricevuto né tanto meno il denaro, ma è il legame intersoggettivo e comunitario. Così la logica del dono ricorre ovunque, lì dove la dinamica del dare e del ricevere rispecchia e rinnova sia il valore del legame interumano, sia quello del legame creaturale cosmico, che sono irriducibili al valore d’uso e al valore di scambio, i soli che l’economia occidentale conosca.
[…] Nella socialità alimentata dalle pratiche oblative, l’avere è possibile per il fatto di aver ricevuto e il dare è un ricomunicare appunto qualcosa di quanto si è già accolto in dono. In un simile dinamismo prende forma l’essere delle persone, la loro soggettività, che risulta impegnata e in un certo senso “condivisa” nella relazione di dono.
Di solito essa viene confusa con la mera simmetria speculare – se tu fai o dai questo, io faccio o do esattamente come te -, con la complementarità – tu fai o dai questo, io faccio o do quest’altro -, persino con la simultaneità – tu e io diamo o facciamo una cosa nello stesso momento -. Ma soprattutto la reciprocità viene generalmente identificata con lo scambio. Che sia il baratto o la compravendita, l’idea è che c’è reciprocità se si scambiano cose con denaro o con cose equivalenti. Di conseguenza la reciprocità stessa viene inglobata nella nozione di mercato e questo, a sua volta, può essere facilmente inteso come un contesto di rivalità universale dove nello scambio si cerca il vantaggio sull’altro. Questo slittamento di significati è uno dei presupposti dell’attuale credenza nel mercato competitivo come istituzione globale della società. […] Nella reciprocità-scambio restano nell’ombra i soggetti, la relazione che li lega e gli effetti dell’interazione su di loro. In primo piano ci sono solo l’oggetto scambiato, il denaro necessario a universalizzare e facilitare le condizioni dello scambio, i vantaggi (sconto, profitto) che ne possono derivare. L’uso del denaro serve effettivamente a sgravare i partners dello scambio da qualsiasi oneroso impegno personale in relazioni più profonde, per esempio di amicizia. Ma isolando e assolutizzando questa funzione di disimpegno, per quanto necessaria, si ha l’esito paradossale per cui la “reciprocità” mercantile diventa sistematicamente uno scambio senza relazione, un po’ come l’elemosina è un gesto di donazione senza condivisione né incontro umano. Se si diffonde questo modello della reciprocità sino a costituire la logica stessa del rapporto con gli altri, non è difficile capire come anche le relazioni parentali e amicali tendano a rimanere svuotate della loro intensità umana, affettiva ed etica, e come si possa seriamente costruire una teoria economica nella quale valore d’uso e valore di scambio sono gli unici valori contemplati.
Invece nella reciprocità-condivisione che si attua secondo la logica del dono – anche se sussistono scambi che, a seconda delle epoche e dei contesti, possono includere l’uso del denaro – al centro dell’attenzione c’è la relazione tra le persone e il suo valore. Ognuno è presente per l’altro come un “tu” reale e prezioso. In tale forma di reciprocità, che è a mio avviso quella reale, dare significa, in qualche misura, darsi e ricevere significa, in certo modo, accogliere l’altro. In questa interazione ciò che accade nell’incontro e ciò che è condiviso vengono interiorizzati da ciascuno.
Si verifica allora quell’apprendimento per cui ognuno impara qualcosa dall’altro; c’è un’ospitalità vicendevole e la relazione cresce in modo da generare un mondo comune. I partners hanno già un loro mondo personale, fatto di storia, affetti, scenario simbolico, modo d’essere e di pensare, abitudini e preferenze. Quando la loro relazione reciproca si sviluppa, senza che intervengano elementi di manipolazione o di dominio, sorge un mondo condiviso che non sostituisce ma arricchisce i rispettivi “mondi” personali. Un vero mondo comune è tutt’altro che un ambiente già dato e scontato che includa in sé le diverse soggettività. Esso nasce da una condivisione libera e reciproca che va ben oltre la pratica dello scambio.
La prima forma di “reciprocità”, dove prevale lo scambio, è spersonalizzante; la seconda, dove conta la relazione tra persone, è umanizzante e capace di rigenerare la socialità. Si capisce allora che un mercato fondato su quest’ultimo tipo di reciprocità non possa tramutarsi in guerra di tutti contro tutti, né sussistere in un clima di indifferenza emotiva di ognuno verso gli altri. Gli scambi che avvengono in un mercato simile non esauriscono la reciprocità, anzi trovano in essa un riferimento orientativo che mantiene la sua vitalità antropologica e può avere traduzione sul piano etico e giuridico. Infatti la reciprocità tra persone mi indicherà i criteri del rispetto, del non nuocere, del contribuire al bene comune.
Si conferma ancora una volta che quanto viene detto “economia” non è mai qualcosa di solamente economico. L’economia è spiritualità, cultura, etica, politica, tradizione. Nel caso delle relazioni di dono, tra tutti questi elementi c’è una relativa armonia e il tessuto della società non è desertificato da processi di disintegrazione e di massificazione, poiché invece la sua trama è composta dalla vita di tante comunità territoriali nelle quali i singoli non sono isolati o abbandonati a se stessi.
[…] In ogni caso l’essere umano non è neutro né statico. La sua personalità e il suo modo di abitare e di pensare il mondo possono configurarsi in maniere differenti: all’homo oeconomicus corrisponde un pensiero monetario, specializzato nel calcolo delle equivalenze e dei vantaggi, e una tonalità emotiva intrisa di angoscia; all’homo reciprocus è proprio invece un pensiero relazionale, connotato affettivamente, sostenuto dalla fiducia nella vita e nella sua origine. Non è affatto una considerazione irrilevante. Essa ricorda che il capitalismo attuale è ben radicato nella mentalità delle persone, per cui aprire una via nuova significa cambiare in profondità la strutturazione del modo di sentire e di pensare.
Ecco la forza euristica radicale del paradigma delle relazioni di dono. Esso dischiude non solo un’altra concezione dell’organizzazione dell’economia, orientandola al servizio nei confronti dei bisogni umani, né solo un altro sguardo sulla socialità, mostrandola comunque fondata sulla cura e sulla cooperazione e non sulla competizione. Viene anche aperta una visione diversa delle facoltà emotive, percettive, intellettuali e comunicative. Ne deriva che non si danno vie alternative in economia, in grado di licenziare il capitalismo, se non si riparte da un’antropologia e da un’etica che trovino i loro criteri fondanti nel valore delle persone e delle relazioni, nel dono, nella cura, nella libera reciprocità irriducibile allo scambio.
(Da “Trasformare l’economia” di Roberto Mancini, Franco Angeli 2014)