Mostra fotografica: Idomeni. Un dolore come il mio
Al Festival 2016 sarà allestita la mostra fotografica “Idomeni. Un dolore come il mio. Reportage dal campo profughi sul confine greco-macedone”, di Michele Garzi
Un confine invita a rallentare prima di passare. Un muro, un filo spinato, costringono a fermarsi, e in questa attesa anche l’umanità e la dignità a tratti sembrano spegnere l’interruttore e rimanere sospese.
Il campo profughi più grande d’Europa è sorto sul confine greco-macedone a settembre 2015 ed è stato sgomberato a maggio 2016. Idomeni è diventata per alcuni mesi una babele di migranti fermati dal filo spinato, accampati sui binari della stazione nell’invana attesa di varcare il limite verso la Macedonia.
Il campo profughi è stato creato a settembre dall’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu e a marzo si è affollato a dismisura non appena la Macedonia ha chiuso le frontiere. In poche settimane sono giunte ad ammassarsi circa 12mila persone, provenienti soprattutto da Siria, Iraq e Afghanistan, che erano in viaggio sulla “rotta balcanica”, percorsa in alternativa ai viaggi sui barconi nel Mediterraneo.
Per settimane le loro giornate sono trascorse sui binari, fra il fango, sotto il sole. Le tende hanno sostituito le case, l’assurdità ha preso il posto della quotidianità. Alle persone arrivate a Idomeni non è stato dato di sapere fino a quando avrebbero continuato ad aspettare, né di conoscere dove sarebbero continuate le loro vite, fino al giorno in cui sono state portate via verso altre strutture militari gestite dal governo greco.
Lo sgombero del campo abusivo più grande d’Europa è stato veloce e indiscutibile. In tre giorni sono stati trasferiti 8500 migranti. Poche spiegazioni e poco tempo per salire a bordo degli autobus, a volte neanche il tempo di salutare un familiare assegnato a un’altra destinazione.
Poi, le ruspe.